Spesso l’approccio del grafico (sì, lo stesso degli altri articoli, il creativo con la testa tra le nuvole e le braccia tatuate) è quello di trattare lo stand come fosse un packaging sovradimensionato: una grande scatola da decorare, a volte quasi riempire.
Certo, questo tipo di approccio può sicuramente portare a risultati esteticamente appaganti ed efficaci a livello puntuale, tuttavia è sicuramente un metodo che non tiene conto di tutti gli aspetti che un progetto di allestimento deve includere. Manca, insomma, di una visione globale.
La cosa che bisogna tenere sempre a mente è che il concetto allestitivo deve enfatizzare gli oggetti esposti, ma anche essere tarato in modo tale da rafforzare l’identità del marchio, senza schiacciarla (se l’allestimento è troppo “prepotente” rispetto all’immagine aziendale) o diluirlo (se viceversa il concept è troppo debole).
Definiti quindi lo spirito dell’allestimento, il mood generale che determina l’impatto globale dell’esperienza di visita, occorre concentrarsi su come trasferire e tradurre questo concept allestitivo.
E la grafica?
La grafica, o meglio la comunicazione visiva, entra in gioco in due momenti: all’inizio e alla fine del processo. All’inizio nella definizione del concept allestitivo, in cui si definisce -a grandi linee- il peso che avrà la grafica nello stand: sarà la protagonista del concept allestitivo (pensiamo ad esempio agli stand in cui vengono utilizzare gigantografie per creare una esperienza immersiva nel visitatore-) oppure sarà minimale? Oppure ancora ci sono delle grafiche imprescindibili di cui tener conto?
Alla fine del processo la grafica viene definita nei dettagli, proprio prima o parallelamente alla definizione dell’esecutivo architettonico.
Altri dettagli fondamentali e spesso dimenticati negli allestimenti, sono l’utilizzo della luce e lo styling.